Via Podiense (GR 65)
da Le Puy-en-Velay a St-Jean-Pied-de-Port
Un viaggio a piedi
- dal 2 al 30 maggio 2006 -
raccontato da Daniella Forestan
Il
crollo del mercato dell’escursionismo in Nepal, la paura a spingersi in
territori islamici e, non ultimo, fattori certamente modaioli spingono sempre
più persone a riscoprire le strade dirette a Santiago de Compostella, la città
della Galizia nota per la cattedrale dedicata all’apostolo Giacomo
(detto Iago, in spagnolo). Nell’ultimo decennio, grandissimo successo ha
riscosso la Via francese, la
supersegnalata pista che attraversa la Spagna partendo dai Pirenei, in gran
parte agibile anche ai ciclisti e al turismo a cavallo. Recita un moderno detto
spagnolo: “Un tempo il camino portava ai corpi santi, oggi porta ai
ristoranti”.
Per
quanto mi riguarda, è dai primi anni ’80 che assieme a mio marito perlustro le
antiche strade dirette verso “l’estremo occidente”. Abbiamo cominciato con la
strada di Arles fino ai monti del Languedoc-Roussillon, e ci faceva compagnia
nostro figlio Marco, classe 1974. Per il trasporto della tenda, dei sacchi
letto e dei viveri utilizzavamo un asino preso in affitto. Zorba - questo il
suo nome - era nato selvaggio in Africa; catturato, era poi stato portato in
Francia per lavorare come stallone. Il primo umano che ha osato mettergli un
basto sulla groppa è stato Giancarlo, e la lotta quotidiana per dimostrare chi
dei due era il capobranco è ancora ben viva nei ricordi di famiglia. L’anno
seguente abbiamo continuato in compagnia di Felix, un asino bretone di pelo
roano: il suo amore per noi era sconfinato, e quando noi
tre ci si allontanava lui restava a curare la tendina, tirando calci a chiunque
osava avvicinarsi!
Negli
anni successivi abbiamo seguito le strade di Tours, di Vézelay e di Le Puy. La
nostra prima volta a Santiago risale al 29 luglio 1989, arrivati seguendo il Camino francés. Altri tempi! Il Monxoi
era ancora integro (un mese dopo, in occasione della visita papale, dapprima le
ruspe lo hanno livellato per creare il campeggio dei papa-boys, poi è stato arricchito
di locali commerciali di ogni genere) e sia la piazza che la cattedrale di
Compostella erano semideserte, come documentano le slides scattate in quell’occasione.
In
questi ultimi dieci anni io e mio marito - crescendo, nostro figlio ha scelto
altre strade - siamo più volte ritornati sulle antiche tracce, percorrendo il Sentiero dei Catari nella Francia del
Sud, il Camino primitivo spagnolo e,
soprattutto, alcuni viaggi li abbiamo dedicati alla realizzazione di una nostra
personale strada per Santiago, passando per le strutture mozarabiche (di queste
non ne rimangono che 44, da noi tutte visitate), inserendo varianti per
visitare le alpestri chiese di Cantabria, ricche di sculture erotiche da far
arrossire d’invidia i più noti templi dell’India e del Nepal.
In
tempi più recenti in famiglia si è consumata una nuova scissione. Mentre gli
interessi culturali di Giancarlo propendono sempre più verso l’Oriente (26
volte in India, sei volte in Nepal, ma anche in Caucaso, Malaysia, Indonesia e
nell’area Mediorientale), io ho puntato la mia rotta verso Occidente. Come
insegnava il nostro amico Patrick Leigh Fermor - autore, tra l’altro, di quel gran bel libro
che è Mani. Viaggi nel Peloponneso -
“un viaggio si definisce tale solo se fatto a piedi e da soli”, una frase a lui
molto cara visto che non mancava mai di ripeterla ogni volta che eravamo ospiti
in casa sua.
E
così ho ripreso a viaggiare sulle strade per Compostella. A piedi e da sola,
ovviamente.
Nel
2005 ho di nuovo raggiunto Santiago partendo da Saint-Jean-Pied-de-Port; una
gita di 750 km
ormai classica tra gli appassionati del genere, favorita dalle molte certezze
che offre: nessun ambiente apparentemente ostile, sicurezza di trovare posti
per dormire e mangiare a buon prezzo, una striscia gialla continua che impedisce
anche ai più distratti di perdere la costretta via…
Nel
2006 ho scarpinato lungo la via Podiense
(ora GR 65), quella che da Le Puy-en-Velay porta a Saint-Jean-Pied-de-Port.
Altri 700 km ,
passando tra paesaggi bellissimi e città medioevali del calibro di Conques,
Figeac e Moissac.
Il
29 maggio io e mio marito ci siamo incontrati in quel di Charre, minuscolo
villaggio dell’Acquitania, e da lì abbiamo continuato fino a Saint-Palais.
L’ultima tappa l’abbiamo percorsa insieme, passando per luoghi a noi ben noti:
la stele di Gibraltar, il panoramico monte di Soyarza, la chiesetta di
Harambeltz - ora sempre chiusa, ma così non era negli anni ’80, quando il suo
soffitto di legno dipinto con stelle, sole e luna splendenti nel cielo
apocalittico si lasciò ammirare in tutta la sua bellezza. E poi Ostabat, dove
un panino e una birra ci hanno dato le forze per l’ultimo strappo, destinazione
Saint-Jean-Pied-de-Port, cittadina da noi ribattezzata “pied-de-porc” per
l’ottimo paté di suino - una specialità locale che non dimentichiamo mai di
acquistare - da accompagnare col “suo” vino basco.
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